LE SARDINE

Mi è capitato di pensare molto su quanto il movimento delle Sardine mi lasci indifferente.
Ne discutevo qualche settimana fa con Silvia Martini, che valorizzava il fatto che scendessero in piazza. E questo sarebbe positivo a prescindere, messa in movimento, partecipazione dal basso…


Stimolato dalla riflessione di Antonella Passani (e prima ancora da quelle di Giuseppe Mozzillo), ho cercato di capire perché non fossi sceso in piazza con loro a San Giovanni e perché, per altri versi, non fossi sceso in piazza neanche con i ragazzi dei Fridays for future, pur condividendo estesamente le posizioni espresse da questi ultimi.
La mia risposta era a cavallo tra una giustificazione sui ritmi di vita, il lavoro e la famiglia e un’involuta critica politica alle sardine stesse. Essa recitava a grandi linee nel modo seguente.
Ho avuto impegni famigliari per le sardine, mentre per i venerdì non me la sono sentita di prendermi un giorno di ferie. Detto questo, credo molto nella causa ambientalista e sto tentando di avvicinarmi a Extintion Rebellion, anche se impegni di lavoro e di famiglia lasciano poco tempo, anche mentale. L’impegno di Greta Thunberg ha avuto un grosso impatto sulla mia coscienza, portandomi ad approfondire le tematiche ambientali fino a quel momento grandemente trascurate e note solo a livello superficiale. Invito tutti ad approfondirle, perché la situazione è davvero. Molto. Grave. Io per parte mia, ritengo che quella ambientale sia la priorità su cui tutti dovremmo essere schierati, preparandoci anche a dividerci sulle soluzioni da individuare ma non sulla necessità di intervenire e di trovarne.
Per quanto riguarda i temi sardineschi, anche qui la condivisione è ampia, anche se presenta alcune riserve.


Sposo senza riserve il contrasto al razzismo montante, alla volontà salviniana di lasciar morire affogati uomini, donne e bambini in mezzo al mare e alla crescente intolleranza che ormai quotidianamente si manifesta nelle nostre città. Su questo tema mi sono anche attivato, andandomi ad aggiungere a un gruppo di volontarie e di volontari – Refugees Welcome  – che aiuta i rifugiati legalmente presenti, da poco giunti in Italia, ad avviare un percorso di integrazione, mediante il loro inserimento temporaneo presso famiglie italiane, che generosamente mettono a disposizione la loro casa, il loro tempo e il loro equilibrio esistenziale per aiutare chi, dopo tanta sofferenza, è sopravvissuto fisicamente alla selezione di mari, deserti e violenza umana e legalmente alla selezione di norme e codici che stabiliscono chi ha il diritto di tentare di cambiare vita venendo qui e chi è, invece condannato ad essere inchiodato nella propria miseria senza prospettive.
Su questo tema ho scoperto che l’impegno dedicato a contribuire a favorire il cambiamento della traiettoria di poche vite è molto più efficace che non la semplice protesta contro un Governo che impedisce soluzioni praticabili per i molti. Ho scoperto anche la bellezza del volontariato, della conoscenza diretta di persone, della pienezza che segue l’entrare in relazione con famiglie ospiti, famiglie ospitanti e con gli altri volontari. Certo, l’impegno nel volontariato non esclude la manifestazione di piazza ma si concilia sicuramente meglio coi tempi di vita di chi, oltre a lavorare, dedica una cospicua parte del proprio tempo al lavoro genitoriale.
Ho letto però molti contributi critici da parte di miei amici e compagni di un tempo sul movimento delle sardine che non mi sento di condividere e che spesso indicano più la propria incapacità di incidere e di stare nelle mobilitazioni, che non un limite a quelle mobilitazioni stesse. Uno di questi contributi critici, particolarmente ragionato, mi pare quello di Fabio Nobile, quando sostiene che “chiedere ai vasti strati popolari in crisi di essere semplicemente “buoni” senza dare loro risposte sociali all’altezza, mi sembra un’operazione che rischia di far aumentare i voti a Salvini e di non ostacolarlo (…) La pancia va riempita o va proposto come fare per riempirla altrimenti ragionare con la testa è complicato.” Anche se poi mi separo dalla sua analisi quando ritiene che il movimento delle Sardine porterà più forza che debolezza a Salvini e quando dà per scontato che questo movimento non sia altro che una ruota di scorta del peggiore PD. Per parte mia, mi sento di condividere l’invito di Alberto Benzoni di non guardare a chi c’è dietro alle Sardine (atteggiamento complottista e, in fondo, tipicamente di destra) ma di guardare a chi c’è davanti, cioè migliaia di nostri concittadini, che le sempre meno numerose sezioni dei sempre più numerosi partiti di sinistra si sognano di riuscire a mobilitare.
Detto anche questo, personalmente le sardine mi appaiono un po’ troppo per bene, un po’ troppo educate. Io mi sento più brutto, più sporco e più cattivo e vorrei qualcuno di più simile a me a rappresentarmi.
E arriviamo così a quello che forse è il punto decisivo del mio scetticismo verso questo movimento: anni fa, sempre a Bologna, nacque un collettivo che si mise a scrivere libri sotto il nome-ombrello di Luther Blisset, ora mutato in Wu Ming. Costoro rifiutavano la logica spettacolarizzante di fine millennio e vollero rifugiarsi sottraendo il proprio nome proprio alla pubblicità che avrebbero invece praticato e variamente e in profondità col proprio nome collettivo, eventualmente declinato cardinalmente (Wu Ming 1, 2, ecc.). In anni più recenti, il movimento Occupy Wall Street fece del rifiuto del verticalismo la propria cifra fondamentale. Manco il megafono utilizzavano nelle loro adunanze: altro che presenziare quotidianamente in Televisione!
Ora, perché chiedo a un movimento di rappresentarmi? (Ogni movimento rappresenta se stesso e non si delega la rappresentanza ai movimenti, si partecip a oppure no)
Perché cito i Wu Ming, Occupy e il rifiuto della spettacolarizzazione?
Perché metto a confronto quelli con questi?
Me lo chiedo anche io, che sono facile a farmi molte domande e lento a darmi poche risposte.
Oggi qualche risposta in più me la sono data ma, come sempre, continuano a prevalere le domande.

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